“Il contributo della stampa studentesca al ’68” parte 1.

Relatore Dott.Marco De Poli, “La zanzara” Liceo Parini di Milano.

Il lunedì di Pasqua del 1971 – secoli e millenni fa – attraversavo in auto tutta l’Italia dal Tirreno all’Adriatico per raggiungere Recanati.

Avevo meno di 23 anni, eravamo in pieno clima “sessantottino”, ma avevo scelto di fare la mia tesi sul tema “L’Illuminismo nella formazione del pensiero di Leopardi”: perché?

Leopardi era stato fin da ragazzo il mio poeta preferito, ma certo sembrava quanto di più lontano possibile dal ’68: ma avevo letto Luporini, Binni, e soprattutto Timpanaro, che mi avevano affascinato con il loro “marxismo-leopardismo”…

E soprattutto De Sanctis e il suo dialogo del 1858 “Schopenauer e Leopardi” che finiva dicendo più o meno: “E se Leopardi fosse vissuto fino al 1848 lo avremmo trovato al nostro fianco sulle barricate”

1848-1968: 120 anni… (e ne sono passati altri 50…)

Nel Centro Studi Leopardiani mi sono immerso con emozione nel quaderni neri di un Giacomo poco più che decenne: le “Dissertazioni Filosofiche” alla cui prima pubblicazione più di 15 anni dopo avrei scritto la prefazione…

E così ho capito che Leopardi era al mio fianco anche sulle barricate del ’68 e ieri ero a Recanati 47 anni dopo a rivivere i miei ricordi di ventenne…

Quest’anno ho scritto qualcosa su “Il mio 68”

Se cercate su Wikipedia “Il 68 in Italia” dice che è cominciato nel ’66 con lo “scandalo della Zanzara” il giornale del Liceo Parini di Milano, fondato dagli studenti partigiani il 25 aprile del 1945, di cui mi trovavo proprio io quell’anno (con illustri predecessori da Vittorio Zucconi a Walter Tobagi) ad essere il direttore…

Proseguendo una tradizione consolidata, insieme a Claudia Beltramo Ceppi e a Marco Sassano dedicammo il paginone centrale del numero di febbraio a un’inchiesta “Che cosa pensano le ragazze d’oggi” che dava forse per la prima volta voce “autonoma” alle nostre compagne di studi…

Devo ricordare ai giovani che mi ascoltano che la condizione delle donne e in particolare delle ragazze, era prima del ’68 molto “compressa”: a scuola era obbligatorio il grembiule nero con il collettino bianco, i pantaloni erano assolutamente proibiti e la prima ragazza che quell’anno osò indossare la minigonna (peraltro molto castigata) fu drasticamente bocciata… Nella società civile poi le cose andavano anche peggio!

Il fatto che quindi le ragazze parlassero liberamente dei loro progetti e dei loro sogni, di casa, famiglia, figli, religione e anche (udite! udite!) castamente di sesso, fece immediatamente classificare l’inchiesta come “sessuale”…

E quindi apriti cielo! Ci trovavamo inconsapevolmente su una faglia tra vecchio e nuovo: alcune caute aperture “sessuali” delle ragazze intervistate (in realtà lo scontro tra la cultura laica e quella cattolica integralista di Gioventù Studentesca, poi Comunione e Liberazione) ci provocarono l’incriminazione per “corruzione di minorenni a mezzo stampa”; per me anche di stampa clandestina, perché mancava un direttore responsabile maggiorenne e allora si diventava maggiorenni a 21 anni!

Ma la “corruzione di minorenni” da parte di altri minorenni – noi eravamo poi ultraminorenni perché nessuno di noi tre aveva ancora compiuto 18 anni – non era prevista dal Codice (Fascista) Rocco ancora in vigore che divideva i “giovani criminali” in tre fasce:

  • fino a 14 anni incapaci di intendere e di volere (assegnati d’ufficio al Tribunale dei Minori).
  • oltre i 18 anni pienamente responsabili (Tribunale normale).
  • tra i 14 e i 18 in un “limbo” in cui doveva essere accertata la nostra capacità di intendere e volere.

Dopo vari interrogatori di polizia e carabinieri, venimmo convocati in Procura, dove l’accertamento della nostra “capacità di intendere e volere” si rivelò una visita medica particolarmente umiliante rivolta a cercare nostre presunte perversioni sessuali…

La ragazza si rifiutò, io e Marco Sassano, feriti anche personalmente, invocammo l’aiuto dei nostri genitori – entrambi giornalisti – e l’Italia, già divisa sul fatto che si contestasse a dei giovani di esprimersi liberamente, si spaccò definitivamente; e fummo “sbattuti in prima pagina” su tutti giornali del mondo…

Ma facciamo un passo indietro: nel nostro mondo di giovani, 50 anni fa, non c’erano i computer, non c’erano i cellulari (né tanto meno gli smartphone…), non c’era Internet; e in realtà non c’era nemmeno la televisione (un solo canale Rai trametteva poche ore nel tardo pomeriggio e la sera): eppure lo “scandalo” divenne subito planetario, forse il primo grande evento mediatico che riguardava la libertà di espressione giovanile: e gli studenti si mobilitarono in massa… (l’inizio del 68?)

Il 22 marzo 1966 ci fu la prima manifestazione di studenti delle superiori che manifestavano per i propri diritti, in difesa delle loro associazioni d’Istituto e dei loro giornali: non era certo la prima espressione politica, ma prima gli studenti partecipavano come iscritti ai partiti, o ai movimenti giovanili… Quella mattina studenti di sinistra e di destra erano uniti nell’obiettivo comune di salvaguardare la libertà delle loro organizzazioni e della loro stampa…

Ma i tempi correvano veloci e in un mese e mezzo dall’uscita della Zanzara “incriminata” si arrivò il 30 marzo al processo, con un collegio di difesa composto dai più noti avvocati milanesi (ricordo Giandomenico Pisapia, padre del futuro sindaco di Milano e Carlo Smuraglia, futuro senatore e Presidente dell’ANPI).

Il Presidente del Tribunale di Milano, Luigi Bianchi D’Espinosa, grande giurista democratico e commentatore della Costituzione, decise di presiedere personalmente il processo e aprì l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia – “circondato” all’esterno da centinaia di studenti – dai giovani che volevano assistere.

Erano presenti più di 400 giornalisti da tutto il mondo, tra cui voglio ricordare la grande Camilla Cederna.

La partita per il Pubblico Ministero era impari, l’opinione pubblica era ormai ampiamente a nostro favore, e anche la Chiesa – a parte Don Giussani e la futura Comunione e liberazione – non si era schierata; e il suo tentativo di criminalizzare come “perle di fango della Zanzara” espressioni innocenti delle ragazze intervistate come “La purezza spirituale non coincide con la integrità fisica”, venivano rispedite al mittente dai nostri difensori…

Verso la fine dei tre giorni di dibattito, il Pubblico Ministero chiese per tutti gli imputati – oltre a noi 3 c’erano il Preside per omesso controllo e il Tipografo per stampa clandestina (io ero l’unico che aveva entrambe le imputazioni…) il minimo della pena con le attenuanti e la non iscrizione…

E qui la sua voce si fece accorata: (vado a memoria) “Mi rendo conto di essere portavoce di una mentalità superata. Volete assolvere questi giovani? Assolveteli pure… Ma state attenti perché così darete stura a un processo che non si potrà più controllare…”

Queste parole mi colpirono e mi chiarirono tutto: non eravamo noi, la Zanzara, le ragazze intervistate, i soggetti del processo, ma quello che rappresentavamo, “il cambiamento”; dovevano condannarci, anche a una pena simbolica, per difendere lo status quo, l’ordine costituito, l’autorità, la famiglia, il potere, la gerarchia… e quindi eravamo colpevoli e dovevamo essere puniti…

Fu con stupore che ascoltai le parole del Presidente del Tribunale che ci assolveva con formula piena “perché il fatto non costituisce reato…

Dopo La Zanzara, non poteva non esserci il ’68…

 

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