” Dalla dittatura alla “democrazia bloccata”

Prima dell’inizio della III legislatura ” Dalla dittatura alla “democrazia bloccata”

(1943-1958)

Autore: Rosilio (detto Marcello) Marcellini, Redattore de “Il Brogliaccio”

Premessa

Le schede che seguiranno dopo questa “premessa”, sono dedicate agli sviluppi economici, politici, di sociabilità, culturali del nostro Paese tratte da notizie giornalistiche dal 1943 al 1958, il periodo che gli storici chiameranno della “democrazia bloccata” (Assemblea Costituente, I e II legislatura) [✴]. Fu durante questi tre lustri che probabilmente incubarono nella società bisogni e scontenti che esplosero nel successivo periodo detto “del ‘68” (). Seguiranno schede maggiormente dettagliate (serie Sk 2.x), che rilevano notizie anno per anno, sul periodo dal 1958 al 1978. Ma avverto: queste sintesi non hanno la pretesa di essere racconti di storia; servono solo per un inizio di discussione ad approccio critico; a volte li ho redatti per “provocare” interpretazioni conformiste; hanno un senso ed un’utilità solo ove siano presi in considerazione con una lettura sistemica, critica, che induca ad approfondimenti; saranno uno strumento per riflettere: “da dove veniamo?”, “chi siamo?”, “dove andremo?”. L’obiettivo che mi sono proposto con questa ricerca è di approfondire la conoscenza degli eventi di quegli anni, cioè capire i perché, la logica di quella società che si era sviluppata in quel ventennio “agitato”, che prende il nome dall’esplosione di rabbia e proteste “del ’68”:

  1. Un processo di sociabilità atteso da tempo (dal “nemico” al “concorrente”: fa molta differenza), che inizia nel maggio 1958, con l’apertura politica “a sinistra”, decisa dagli elettori che votarono per la III legislatura della Repubblica, più che dai partiti [✴]. Ma le radici di quella tardiva e complessa svolta si possono rintracciare fin dal primo governo De Gasperi (10 dicembre 1945). La svolta del ’58 servì ad isolare politicamente il PCI, l’eterno “nemico”, anche se portatore di un’idea comunista già diversa da quella “imperialista” della casa-madre russa, soprattutto dal 1972 con la segreteria Berlinguer [✴] ().
  2. Ma quella stagione politica finisce drammaticamente nel maggio 1978, segnato dall’assassinio di Aldo Moro: fece registrare la sconfitta politica dei partiti tutti, nessuno escluso, sia sul piano dottrinale sia su quello etico, perché tutti quanti non furono in grado di ideare e gestire una qualche soluzione a quella crisi ad un tempo ideologica, sociale, politica, culturale; piuttosto subirono l’anarchico sviluppo degli eventi [✴]. Tutti risultarono incapaci di sapersi gestire democraticamente, fra loro e allo stesso loro interno. Ma fallì anche l’insensatezza della rivolta delle frange extraparlamentari, sia “rosse” sia “nere”, incapaci a loro volta di proporre una qualche soluzione alternativa fattibile [✴].

N’è derivata, quindi, la conclusione che si era transitati per la stagione che aveva cercato il cambiamento del “sistema bloccato”, senza riuscirvi, per inaugurare il secondo periodo di “democrazia bloccata” della nostra storia, che porterà il nostro paese a sfiorare il fallimento, salvandosi solo grazie all’abbraccio dell’Europa [✴].

Una stagione comunque non inutile, anche se molto tragica. Costrinse ciascuno a porsi la domanda “chi sono?”, mentre prima, nel “sistema bloccato” si sapeva, bastava chiedersi da dove viene la mia famiglia e quale mestiere fanno i miei genitori, in una società socialmente stratificata e poco mobile. Anche se solo pochi, con questa nuova consapevolezza della risposta al “chi sono?”, cercheranno anche di capire dove indirizzerà la propria vita, come, perché: il progettare lo sviluppo della propria vita è sforzo arduo, viene più facile, più naturale cogliere quel che viene, improvvisare al momento, cogliere l’occasione …

Per la stratificazione del “piedistallo di notizie” necessario per cercare di leggere quel ventennio, ho utilizzato inizialmente le raccolte delle collezioni dei giornali. Ma poi, anche la bibliografia che si andava sviluppando. Dopo aver raccolto, con modalità sintetiche, notizie per il solo 1958 che riempivano più di 130 pagine, per non disperdermi, ho dovuto scegliere una diversa organizzazione di quei dati, più “digeribile”, pur partendo comunque da una cronologia non monotematica, per consentire di percepire gli andamenti sistemici, e che potesse essere utilizzata poi per “raccontare per temi dominanti”, necessariamente interconnessi fra loro: dalle sintesi generali a quelle tematiche per poi affrontare gli approfondimenti nel dettaglio.

L’obiettivo di questa complicata analisi, a mio avviso, è molto attuale, mezzo secolo dopo quegli eventi: suscitare curiosità per poter iniziare a “farsi domande” in una società che, all’inizio del XXI secolo, è ancora in evidente regressione culturale per eccessiva comunicazione “acritica”, con scarsa conoscenza della sua storia, ma anche degli scenari di riferimento attuali, che la porta a decidere il da farsi in base a “pregiudizi”, che a volte scade addirittura in “demagogia mirata” (marketing politico) senza alcuna onestà intellettuale: cosa sia accaduto nel ’68 è solo il pretesto per darsi un metodo di conoscenza e valutazione per quanto sta accadendo quotidianamente.

L’ulteriore obiettivo è di ricercare le fonti informative per tentare di capire “perché avvenne”, cosa avvenne “a quel tempo” nel nostro Paese, cosa sia necessario approfondire [✴] e, anche e soprattutto, “come” approfondire, quale “lezione” trarre. Il tutto nella logica di “impariamo dagli errori” [], che non vanno demonizzati, ma esplorati, spiegati nella loro origine e nel loro divenire: il miglior metodo, pur sbagliando oggi i giudizi, per rendere possibile imparare a far meglio domani in una sociabilità che progredisce.

Sugli argomenti “politici”, inizialmente ho potuto utilizzare solo alcuni verbali di sedute parlamentari, perché su pressoché tutta la documentazione ufficiale che potevo ricercare negli archivi di Stato di Firenze o di Ancona, all’epoca nella quale avevo iniziato la mia ricerca, vigeva ancora il “segreto di Stato”. Poi ho avuto modo di frequentare a cavallo del 1990 anche gli Archivi Centrali dello Stato a Roma: alcuni di quei documenti che si riferivano ad anni immediatamente precedenti al 1940 erano stati de-segretati dopo 50 anni (certo non tutti) e teoricamente resi accessibili (classificazioni farraginose che non aiutavano nella ricerca, i sistemi archivistici SIUSA e SAN sono piuttosto recenti): quindi non ho potuto avere accesso ai documenti del ventennio del ‘68.

In economia, che storicamente precede ogni movimento culturale, sociale e politico, il ventennio del ’68 fa registrare dati che dimostrano che nel nostro Paese s’andava esaurendo la crescita economica della stagione detta del “miracolo economico”, che s’era sviluppata nell’immediato dopoguerra nella logica del modello neo-taylorista. Il mondo industriale del nostro Paese, per nulla attento a quel che andavano facendo “gli altri”, si stava avviando verso un ritardo grave nell’innovazione industriale. Non si riusciva a cogliere le nuove logiche industriali “toyotiste” di ribaltamento del processo imprenditoriale. Da noi ancora si partiva dal “saper fare il prodotto” pur ignorando spesso “il mercato” e cosa facessero di diverso i “concorrenti”. I nostri imprenditori avrebbero invece dovuto partire dal “cosa richiede il mercato” (dove, quanto, perché, come …), con quello che ne sarebbe conseguito anche in termini di innovazione dello stesso prodotto, nella definizione degli obiettivi dell’impresa, nella pianificazione strategica del suo sviluppo, nella programmazione operativa, nella formazione delle maestranze, nella contabilità dei costi e dei tempi, nel controllo per tutti gli aspetti, nell’adozione di principi di “just-in-time”, nell’organizzazione della “supply-chain” ecc. Un ritardo che ancora persiste oggi, l’era della Terza rivoluzione industriale iniziata intorno al 2008.

Cioè le carenze erano prevalentemente il derivato di aspetti di “incultura imprenditoriale” che avrebbero dovuto gradualmente sostituirsi a quella di derivazione artigianale – le best practices – tipica del nostrano neo-taylorismo, che guardava all’esperienza storica, piuttosto che alla ricerca dell’innovazione come vantaggio competitivo che traguarda il futuro. Ritardo che portò alla crisi del decennio ’80 e che, non intesa dai governanti dell’epoca, produsse l’enorme debito pubblico che ancora ci soffoca [✴]. Occorrerà del tempo perché sulla base dei documenti “d’archivio” si possa correggere la lettura degli eventi dal ’68 in poi e digerirne la lezione [✴].

Qualche ulteriore motivo di opportunità valutativa nella mia scelta di iniziare l’analisi col 1958 comunque va dichiarata. Nel 1958 sono già passati poco più di 15 anni, due legislature, tre elezioni politiche (se consideriamo anche quella per la Costituente), col cambio di regime da monarchia a repubblica. Innovazione soprattutto, sul piano politico, dalla caduta del fascismo e dallo svilimento della sua ideologia. Ma la democrazia come spirito e pratica operativa sembrava ancora assente [✴]. Persino il Parlamento elettivo contava poco o nulla, le decisioni importanti venivano prese altrove [✴].

Infatti, nella I legislatura, le carenze di democrazia si associano coll’instabilità: ben sette governi, anche se tutti guidati da De Gasperi [✴], con elezioni che furono definite come una lotta “contro” i socialcomunisti, intesi come il “nemico”, il che è significativo per trarne un giudizio sull’instabilità politica della stessa DC, che cercava lo scontro, l’esclusione del “nemico” dalla competizione, in luogo del coinvolgimento [✴] (in difformità della visione dello stesso De Gasperi, che su questo aspetto, si scontra con quella di Pio XII) [✴]. Nella II legislatura con le elezioni del 1953. definite uno scontro fra i partiti di centro e i partiti di estrema, sia di sinistra che di destra, l’instabilità non cambia, ben sei governi nel corso di cinque anni [✴], ma viene a mancare anche la “rotta politica” stabile che aveva segnato l’età di De Gasperi, basta osservare le differenze d’indirizzo in chi guida di volta in volta quei sei governi [✴].

Nel 1958 si svolgono le elezioni per la III legislatura, concepite come difesa e un contrattacco della DC contro tutti gli altri “criticoni” della sua leadership. Il Paese, invece, più che continuità aspira e s’attende una svolta, per superare un sistema politico che gli storici hanno giudicato “bloccato”. Forse il motivo principale dello stesso decadimento della “sociabilità” della DC al suo interno, la sua insostituibilità sul piano parlamentare, la difesa della sua esistenza ad ogni costo, nel corso delle prime due legislature [✴]. Un immobilismo per vincoli interni, ma soprattutto esterni al nostro Paese [✴]. Ma all’epoca se ne avevano solo modeste sensazioni, non conoscenze certe di chi bloccasse il nostro pieno e libero sviluppo democratico, come, perché … [✴].

L’opinione pubblica aveva l’illusione, dopo l’età fascista, nazionalista e sovranista, che gli italiani fossero diventati finalmente cittadini di una Repubblica democratica, una società che tendeva a garantire l’eguaglianza dei diritti e dei doveri … [✴]. Non si aveva coscienza (non la si ha ancora oggi!) di quanto lungo, difficile e faticoso fosse avviare e mantenere vivo nel tempo quel processo di sociabilità … [✴]. Quanto la realizzazione di quel processo dipenda non solo da chi governa, ma soprattutto da tutti i cittadini, singolarmente … e quanto quello sviluppo non fosse nemmeno iniziato! [✴]. Nei Piani e nelle aspettative dell’agire politico, soprattutto nelle strategie di chi operava nel condizionamento dall’esterno in termini “conservatori degli interessi già costituiti”, per quelle elezioni del 1958 si era lavorato e si aspettava la crescita di consenso per la DC, per stabilizzare politicamente il Paese con un governo “monocolore”, risultato che avrebbe dovuto comportare, per conseguenza, l’isolamento e la decrescita del consenso per quell’area politica considerata la “pericolosa” Sinistra socialcomunista [✴].

Scenario di riferimento della prima età della Repubblica

A leggere gli eventi di “prima” di quel ventennio, quelli che portarono all’ultimo ministero che gestì le elezioni per la III Legislatura (25 marzo 1958), il ministero di Adone Zoli [✴], sembra proprio che nel nostro Paese una “normale” democrazia non si fosse ancora stabilita [✴]. In un Paese che aveva perso la memoria delle logiche che sottendono ad un sistema democratico, si dice che De Gasperi, che governava fin da prima (10.12.1945) dell’elezione per l’Assemblea Costituente (), avesse espresso l’intenzione di adottare una strategia rinnovatrice delle prassi di governo fasciste, che tuttavia non era accettata dalla Chiesa di Pio XII, che con quel fascismo aveva sottoscritto il “Concordato”. Contemplava tre fasi logiche successive:

  1. Temporanea collaborazione con tutte le forze antifasciste. Ma non teneva conto delle differenze politiche fra loro che rendeva impraticabile qualsiasi accordo che includesse dai liberali fino al comunisti, escludendo comunque i nostalgici del fascismo e della monarchia ().
  2. Differenziazione dei compiti fra maggioranza e opposizione. Gestita comunque come esclusione più che di confronto politico, escludente per pregiudizio anche l’ascolto critico.
  3. Realizzazioni riformistiche sul piano economico e sociale. Ma dal governo di quel primo quinquennio 1948-1853, di riformistico in senso democratico non si riesce a trovar traccia. Ancor più involutivo divenne il secondo quinquennio, decisamente anti-proletario.

Questa contrapposizione inizia fin da subito, dopo l’attentato alla vita di Togliatti (vedi di seguito): De Gasperi riuscì a rendere la DC partito egemone alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, grazie al frazionismo e alle velleità altrui e alle paure del comunismo sparse con ogni mezzo, dai manifesti ai confessionali, con il risultato che non era affatto scontato prima del voto [✴].

Nel corso della prima legislatura non venne attuata nessuna riforma applicativa dei dettami della Costituzione, nel timore dei partiti centristi di favorire i partiti di sinistra. S’era formato un clima sociale che molto risentiva della divisione mondiale fra Occidente e Oriente, e ne conseguiva che si voleva ad ogni costo evitare che i socialcomunisti potessero conquistare, addirittura legalmente, il governo del paese, visti i primi andamenti elettorali (soprattutto nelle elezioni locali). Tenendo conto soprattutto dei risultati intermedi delle elezioni amministrative, si temeva, sarebbero risultati sfavorevoli per il centrismo confessionale [✴]. La reazione diretta della Chiesa che si concretizza nell’organizzare una fallimentare “operazione Sturzo” che avrebbe dovuto impedire che al comune di Roma potesse accedere un sindaco non cattolico [✴] gli si ritorce contro, squalifica il suo interventismo. Di qui anche la spinta divisiva verso la riforma elettorale – con l’imposizione della famosa “legge truffa”, che avrebbe assegnato il 65% dei seggi all’unico partito che aveva la possibilità di raggiungere la maggioranza del 50% più anche solo un voto (cioè la DC), per le elezioni per la II legislatura – che avrebbe dovuto vanificare la prevista crescita di tutte le opposizioni, che avrebbero potuto coalizzarsi.

Secondo i critici dell’epoca, De Gasperi per la DC, Saragat per il PSDI, Pacciardi per il PRI e i liberali commisero l’errore, anche dal punto di vista della costruzione di una repubblica democratica moderna sorta dalla Resistenza, ma pur sempre borghese, di lasciasi ingabbiare da gretti interessi particolaristici e corporativi, tradizionali e nuovi [✴], e di aver rinunciato a mandare avanti una politica economica e sociale coraggiosa, innovativa, attenuante la stratificazione sociale, nel senso indicato dalla Costituzione [✴].

Nei rapporti politici al tempo di De Gasperi, si respinse l’idea della pacificazione fra tutti i partiti, che avrebbero potuto far aderire anche i socialcomunisti ad una energica azione riformatrice “egualitaria” [✴]. Ma fin dalle elezioni del ’48 più che al sociale si guardava alla contrapposizione negli schieramenti, si era sviluppato un clima “da crociata” anticomunista, che poi sul piano internazionale divenne la “guerra fredda”. Il risvolto: «… per combattere un presunto pericolo sovvertitore proveniente da sinistra essi hanno dovuto chiudere gli occhi sulla rinascita del fascismo e tollerarne la presenza nell’apparato dello Stato, cercare l’appoggio delle forze economiche, politiche e sociali di destra, e per ottenere tale appoggio, diretto e indiretto, hanno dovuto pagare come prezzo l’accantonamento delle riforme» [GC 1975, p. 94 ()].

Di qui la situazione “bloccata al centro”, che trasformava quella gestione da scelta politica ad amministrazione burocratica, che impediva un qualche confronto democratico “sul da farsi” e indusse quel centro a scegliere secondo le proprie ondivaghe convenienze del momento [✴]; di lì lo sviluppo dei tanti episodi di corruttela [✴].

La frattura non recuperabile della DC con la sinistra, parte appunto da quell’episodio terroristico di cui si macchiò Antonio Pallante, studente di Randazzo, in Sicilia, un ex militante del movimento di estrema destra Blocco Democratico Liberale Qualunquista, giunto a Roma per assassinare Togliatti all’uscita da Montecitorio il 14 luglio 1948 (). Il clima politico nazionale, influenzato dal confronto USA-URSS, da qualche tempo sembrava imporre che occorresse combattere ed impedire “fisicamente” ai comunisti l’accesso al Parlamento per poter realizzare un “mondo libero”, stravolgendo i principi democratici stabiliti dalla Costituzione. La realtà storica dimostrava invece che PCI, PSI e DC, più gli altri partiti minori, avevano lavorato insieme ottenendo l’ottimo risultato di concordare il testo molto avanzato della Costituzione. Ma dopo l’attentato a Togliatti e la notevole reazione popolare che ne seguì, fra manifestazioni e scioperi che si replicarono a lungo [✴], la Costituzione fu confinata in un qualche cassetto, messa metaforicamente sotto chiave da Scelba che sbeffeggiava il “culturame” che l’aveva redatta, e non si fece nulla per attuarla. Anzi, le istituzioni religiose e politiche che col fascismo avevano a suo tempo portato alla firma del Concordato Stato-Chiesa, temevano che l’elettorato popolare, per risolvere i suoi bisogni, potesse rivolgersi ad ascoltare le sirene socialcomuniste, fino a portare quei partiti legalmente al potere. Nella seconda legislatura, di conseguenza, la DC non più degasperiana attuò una politica del tutto favorevole agli interessi già costituiti, naturali antagonisti dei protestatari, fino al soffocamento poliziesco di ogni sciopero, portando a successive rivolte, fino a prender a pretesto proprio quelle proteste popolari per attuare, con grande dispendio organizzativo, l’arresto e la schedatura individuale, la repressione militare da parte del ministro agli Interni Scelba di qualsiasi cosa lo disturbasse (), fino a riuscire a dividere la CISL in tanti sindacati che facevano riferimento ai partiti governativi, perfino a quelli promossi dagli stessi patronati industriali, i “sindacati gialli”.

I partiti presenti alla Camera ed al Senato nella prima e ancor più nella seconda Legislatura operarono in questo clima di contrapposizione radicale, la sinistra socialcomunista reclamando l’attuazione dei principi costituzionali, il centro guidato dalla DC opponendovisi con vari pretesti, i militanti della Destra come manodopera per gli scontri di piazza.

Per la verità, fin dalla metà della seconda legislatura iniziava a svilupparsi la sensazione che qualcosa stesse cambiando nel mondo, fuori d’Italia, e si seguivano quegli eventi “da tifosi acritici”, dell’uno o dell’altro dei due “blocchi” contendenti, per appartenenza ad una tifoseria piuttosto che all’altra, in carenza di conoscenza e intelligenza critica degli eventi.

Erano sensazioni derivanti da “fatti” eterodossi rispetto al confronto ad escludendum che s’era creato dopo la conclusione del conflitto mondiale, nel quale gli alleati contro il nazifascismo, si trovarono nemici fra loro in due blocchi contrapposti, l’età della “guerra fredda”. Molti indizi iniziarono a mostrarsi che facevano pensare ad una evoluzione strisciante, che non annunciava ancora il “cambio della guardia” delle leadership politiche o un “voltar pagina” nei programmi, un “punto e a capo diverso” nella scelta dei leader, per i tanti errori che si erano già registrati all’interno di ciascuno del due blocchi. In Italia la speranza che qualcosa cambiasse era evidente dal disagio di pressoché tutti i ceti sociali, soprattutto di quelli che soffrivano per bisogni non soddisfatti ma anche di quelli che nel dover concedere qualcosa vedevano a rischio i loro “interessi” assimilati al concetto di “diritti” ().

Quei sintomi derivavano da eventi “eterodossi” perché non rispondevano alla logica corrente all’epoca, da noi del quieta non movere o dall’esigenza di soffocare qualsiasi protesta. Anche da parte del PCI, conscio che un cambio radicale della leadership politica, in un mondo diviso in due schieramenti contrapposti, col nostro Paese confine fisico dell’Occidente sedicente democratico contro l’Oriente comunista, non era possibile, non sarebbe stato accettato, non erano fattibili le aspirazioni governative social-comuniste. Ma anche perché, all’interno del socialcomunismo, non mancavano divisioni concettuali latenti fino all’esistenza di una corrente cristiano-comunista molto forte ed ascoltata sul piano intellettuale. Il confronto quindi prescindeva da quel che il governo faceva o non faceva. Diventava scontro ideologico a prescindere. Anche perché i governi guidati dalla DC non vivevano di scelte proprie, erano strettamente controllati da due forze ambedue visceralmente ostili al comunismo: la Chiesa “del potere temporale” e l’America.

Ma questa sensazione si estendeva anche fra gli eredi non pentiti del Fascismo, che cercavano la rivincita e la vendetta alla loro sconfitta storica, e finirono per diventare manodopera dei sevizi segreti al soldo degli americani. La coscienza della necessità di un cambiamento inizia a manifestarsi negli ultimi tre anni prima del 1958, l’inizio del ventennio che ho chiamato del ‘68; precede e determina la svolta politica fatta registrare nel maggio ’58. Ne accenno appena di seguito, ma quegli eventi meritano approfondimenti, perché da quelli dipenderà tutto il futuro del ventennio successivo [✴].

Nell’orizzonte internazionale, contribuisce a questa sensazione di novità attese, necessarie, utili, che presto determineranno l’avvio dell’età “della distensione” fra i due blocchi contrapposti, quello Occidentale sedicente democratico (ma faceva registrare molte gravi sbavature, non solo in Italia) ed il blocco Orientale, sedicente comunista (anche qui con sbavature da comunismo che aveva tradito fin dal suo inizio gli ideali sui quali era nata quella “rivoluzione”), una serie di episodi che possiamo definire “al di fuori della logica” dichiarata da ambedue le parti.

La prima eclatante crisi del dopoguerra fu quella determinata in Egitto dai “bisogni” di Nasser, il militare che aveva guidato nel 1952 il colpo di stato repubblicano che aveva abbattuto la monarchia di Fārūk, sulla base di un nazionalismo in forte ritardo, che cerca di costruire il suo indipendente spazio politico, certo nazionalistico, ma soprattutto economicamente autonomo, libero dai condizionamenti inglesi e francesi, sull’unica ricchezza che può vantare quel paese all’epoca, lo sfruttamento della via commerciale del canale di Suez (). Tentano di impedirglielo gli “interessi” della coalizione militare di Gran Bretagna, Francia e Israele. Conseguentemente Nasser cerca e ottiene l’accordo di collaborazione con i paesi socialcomunisti e si blinda contro Israele con trattati militari con i paesi islamici antisionisti di Siria e Arabia Saudita (ottobre 1955). Per tutto il 1956, crescono le tensioni tra Israele ed Egitto. Nasser considera Israele un insediamento abusivo, imposto dalle potenze dell’Occidente per non dover affrontare le conseguenze di una difficile reintegrazione degli ebrei nei loro paesi d’origine. Nasser non accettava la formazione di un nuovo stato etnico-religioso, colonizzando terre arabe. Uno stato estraneo alla storia del più che millenario Medioriente islamico. Israele, nella sua specificità, rimane ancora oggi un problema non completamente risolto. Di conseguenza, all’epoca di Nasser, Israele veniva attaccato dai fedayn egiziani che lanciavano frequenti incursioni nel territorio israeliano, e Israele rispondeva con raid di rappresaglia in territorio egiziano, che avevano il significato di non riconoscere la rivoluzione nasseriana.

Il 26 luglio 1956, Nasser annuncia la nazionalizzazione del canale di Suez, per finanziare la costruzione della diga di Aswān, sul Nilo, per aprire una prospettiva agricola per quel popolo e per produrre energia idroelettrica. In precedenza, gli USA e i britannici avevano negoziato finanziamenti per quel progetto, ma avevano cancellato il loro appoggio dopo che l’Egitto aveva acquistato carri armati dalla Cecoslovacchia comunista, all’epoca sotto il controllo dell’Unione Sovietica, e soprattutto, aveva esteso il riconoscimento diplomatico alla Cina comunista. Le migliorate relazioni con i cinesi furono il risultato della Conferenza di Bandung del 1955 [✴], nella quale Nasser aveva chiesto ai cinesi di usare la loro influenza sui sovietici per far rifornire l’Egitto degli armamenti necessari per realizzare una sua effettiva indipendenza.

Il Primo ministro britannico dell’epoca, sir Anthony Eden, senza curarsi del principio di autodeterminazione dei popoli, alla base della nascita dell’ONU (24 ottobre 1945 con 193 Stati aderenti su 196 esistenti nel mondo all’epoca), cercò di persuadere l’opinione pubblica del suo Paese della necessità di una guerra per abbattere il regime di Nasser [✴]. Nei mesi che seguirono la nazionalizzazione della Compagnie universelle du canal maritime de Suez, si svolse un incontro segreto tra Israele, Francia e Regno Unito a Sèvres, fuori Parigi [✴]. I dettagli dell’incontro emersero solo anni dopo, poiché le registrazioni vennero distrutte. Quei tre Stati concordarono un gioco delle parti: Israele avrebbe invaso l’Egitto, giustificando l’aggressione come difesa dal terrorismo arabo, i britannici e i francesi sarebbero intervenuti successivamente da pacieri, spingendo gli eserciti egiziano e israeliano a ritirare le loro forze a una distanza di 10 miglia (16 km) dai lati del canale, e piazzando quindi una forza d’intervento anglo-francese nella zona del canale attorno a Porto Said. Questo piano venne chiamato Operazione Musketeer dai britannici e analogamente Opération Mousquetaire dai francesi [✴]. L’operazione per prendere il canale ebbe successo dal punto di vista militare, ma si risolse in un totale disastro politico a causa della forte miopia politica dei suoi organizzatori ().

Oltre che impegnati nella crisi di Suez, gli Stati Uniti stavano cercando di gestire la quasi parallela crisi ungherese, e dovettero affrontare l’imbarazzante situazione (in particolare agli occhi del Terzo mondo che era in subbuglio proprio per l’attuazione del principio di autodeterminazione dei popoli) di criticare l’intervento militare sovietico nell’Est europeo, tacendo al tempo stesso sulle azioni belliche dei suoi due principali alleati europei che disconoscevano nei fatti quel principio [✴]. Cosa forse più importante, gli Stati Uniti temevano anche un allargamento del conflitto dopo che l’URSS minacciò di intervenire a sostegno dell’Egitto e che avrebbe lanciato attacchi con “tutti i tipi di moderne armi di distruzione“. Seppur non l’avesse mai dichiarato prima, era possibile che i sovietici intendessero un attacco nucleare su Londra e Parigi e gli USA, forse, sapessero già qualcosa del recupero sovietico in campo nucleare. Quindi l’amministrazione Eisenhower costrinse Regno Unito e Francia a un cessate il fuoco, anche se in precedenza aveva garantito agli alleati che non avrebbe richiesto alcun passo indietro sul tema del Canale di Suez (). Questa vicenda costituisce una grave “sbavatura” dei principi della “democrazia” sui quali si basava la retorica dell’Occidente nel giustificare la contrapposizione all’Oriente comunista “dittatoriale”.

Altro episodio, lo sciopero generale in Algeria (novembre 1955) che ancora non riesce a liberarsi della dominazione coloniale francese in tempi in cui la stessa Francia aveva ufficialmente accolto il principio di autodeterminazione dei popoli; lo stato d’assedio col quale il generale Massu cerca di soffocare la rivolta di quel Fronte di liberazione, produce un numero enorme di vittime (gennaio 1957) diventa uno scandalo percepito ben oltre la Francia e l’Algeria [✴].

In quegli anni cresce la sorpresa e lo sgomento nell’opinione pubblica mondiale per la prova di forza dell’URSS che sperimenta la sua prima bomba atomica (ottobre 1955) [✴] alla quale gli USA risponderanno successivamente (maggio 1956) con la ripresa degli esperimenti atomici nel Pacifico [✴]. Ma non era una gara a lungo sostenibile, non c’era un traguardo accettabile, piuttosto era una prova di forza, che contemplava anche lo spazio e lo sviluppo missilistico, che poteva diventare strumento militare. La Russia invia nello spazio il suo primo satellite (ottobre 1957) e poi un secondo con a bordo la cagnetta Laika (novembre 1957) e gli USA rispondono in ritardo col loro primo satellite (gennaio 1958) [✴]. La Russia segna così il superamento del suo iniziale ritardo dagli USA in ambito di tecnologia militare, ma ambedue finiscono per comprendere che il confronto gestito con le atomiche trasportate sul bersaglio dai missili non è praticabile: ne rimarrebbero vittime ambedue.

Ma Kruscev doveva anche recuperare l’immagine dell’URSS sul piano politico. Nel XX Congresso del PCUS (febbraio 1956), legge il “rapporto segreto” su quello che chiama “culto della personalità” di Stalin [✴]. Perché il “modello comunista” ormai inizia a scricchiolare ovunque sia arrivato a governare, tanto che Mosca dopo aver già sciolto nel 1943 la III Internazionale comunista, è costretta a sciogliere anche il Kominform (aprile 1956), cioè lo strumento verticistico-poliziesco col quale aveva tentato di tenere uniti sul piano politico gli altri partiti comunisti, che non obbedivano più o mugugnavano a quelle indicazioni [✴]. Kruscev, recita quella “confessione” con troppo ritardo e con troppe omissioni () per risultare credibile, e, soprattutto, evitando di entrare nel merito antidemocratico di quel modello, peccato originale che risaliva addirittura a Lenin, che quando era salito al potere in nome del popolo aveva concentrato tutte le decisioni nel vertice del partito, unico gestore della dittatura del proletariato, invece che nelle assemblee elette da quei proletari: si chiedeva, scopre quel peccato originale cinquant’anni dopo? [✴].

Kruscev, infatti, non era riuscito ad evitare l’esplosione della rivolta anticomunista a Poznan, in Polonia (giugno 1955), per poi ripristinare una diversa disciplina comunista, con la liberazione del cardinale Wyszynski e la riabilitazione del dissidente Wladislaw Gomulka (), ch’è nominato a capo di quel partito comunista (ottobre 1956) [✴]. Uno sviluppo che non frena, anzi crea le condizioni per la rivolta dell’Ungheria (), che spinge (sempre ottobre 1956) l’esercito russo a intervenire per soffocarla; ma dopo il compromesso della nomina di Imre Nagy alla presidenza, ritira i suoi carri armati. Ma poi, per non perdere il controllo di quel paese ci ripensa e invade nuovamente l’Ungheria (novembre) [✴].

Lo stesso Kruscev nel gennaio 1957 deve sventare il tentativo “interno” URSS che mira alla sua sostituzione alla presidenza del PCUS [✴]. Ma reagisce a questo graduale sgretolamento del modello del comunismo, non tanto sul piano della logica “sociale” che guarda ai “bisogni”, ma sul piano militare, nella difesa degli “interessi” imperialistici dell’URSS, come nell’episodio di Cuba (ottobre 1962) [✴]. Questo significato assume nel novembre 1957, il lancio nello spazio della cagnetta Laika. Dimostra così di aver raggiunto e surclassato gli USA, ma anche che gli “interessi” di pochi politici e di un ampio apparato burocratico di partito, stanno sempre più soffocando i “bisogni” di un popolo, che è ancora molto indietro rispetto agli americani in economia, democrazia, organizzazione sociale e dialettica politica [✴].

Persino Palmiro Togliatti aveva avvertito tutte queste incongruenze, e andava prendendo le distanze dalla “vulgata” di Kruscev (giugno 1956) con una intervista a Nuovi Argomenti, cercando anche lui di far passare la versione che il culto della personalità era stato solo un derivato della burocratizzazione di quel regime che non avrebbe inficiato la bontà e necessità di realizzare gli ideali comunisti [✴]. Ma non riuscì a far accettare questa interpretazione. Al contrario, dovette registrare un dissenso inusuale per la disciplina vigente nel PCI, ove si poteva discutere liberamente ed anche animatamente all’interno delle adunanze degli iscritti, ma poi usciva verso l’esterno solo una relazione di convenienza [✴]. In questa crisi 101 intellettuali ne contestarono pubblicamente le tesi e la sua direzione del partito (ottobre 1956) [✴]. Questo clima lo porta ad essere contestato anche nell’VIII Congresso del PCI (dicembre 1956) proprio sul merito di quanto aveva realizzato l’URSS in Ungheria [✴].

Certamente il confronto fra Occidente e l’Est comunista non poteva continuare così com’è s’era svolto nell’ultimo decennio. Si avvia, infatti, la prospettiva della “distensione”, non tanto fra due “modelli” di governo che rimangono inconciliabili fra loro, quanto sullo stesso e comune piano di come non usare la potenza militare raggiunta per tentare di primeggiare l’uno sull’altro. È applicata la nuova logica che sostituisce il confronto con la spartizione delle zone d’influenza, che limitano definitivamente, almeno in teoria, l’autonomia dei popoli, come nel sud-est asiatico, questa volta per opera dell’imperialismo americano [✴]. Ambedue i fronti contrapposti violentano gli ideali che li connotano e nella pratica diventano potenze imperialistiche.

Anche nel nostro paese si sentì il bisogno di una svolta sul piano politico, dopo che sul piano economico molto stava cambiando velocemente, in meglio per pochi (). Si inizia nel dicembre 1955 con la scissione del PLI e la fondazione del Partito radicale: un diverso liberalismo che abbandona i lasciti culturali che associavano il PLI alla conservazione degli interessi delle classi sociali abbienti, internazionaliste per relazioni economiche, ancora un po’ fascistoidi in un clima di imperialismo antisovietico. Vanno a sviluppare l’idea di un liberalismo democratico, addirittura “di sinistra!”, intellettuali illustri, come Bruno Villabruna, Nicolò Carandini, Francesco Compagna, Vittorio De Caprariis ed Eugenio Scalfari che aprirà la stagione critica dell’Espresso [✴].

Anche il disagio proletario cresce nel nostro paese, segnando le rivolte bracciantili in Basilicata (gennaio 1956), e nei mesi successivi. con altre vittime, a Comiso ed a Barletta. Grande impressione (agosto 1956) per la tragedia di Marcinelle, in Belgio, ove si conteranno 237 vittime fra i minatori, fra i quali 139 emigrati italiani. Tutte queste vittime appartenevano allo strato sociale storicamente perdente, per proprie carenze nell’adeguamento ai nuovi sviluppi economici: quella frangia di incultura contadina rappresentata dai “braccianti”, che non era riuscita a trovare spazio nello sviluppo dell’industrializzazione del paese, emigra per lo più nell’America centro-meridionale, una parte riuscirà con molte sofferenze a riciclarsi nell’Italia settentrionale, quella che fin da allora pubblicava annunci del tipo “Non si affitta ai meridionali!” [✴].

Anche il mondo giornalistico inizia ad agitarsi contro le “vulgate” democristiane pressoché monopolistiche, soprattutto dopo la nascita della televisione della RAI, e, sul fronte contrapposto, il gran numero di scritti e discorsi “togliattiani e nenniani” finiscono per coinvolgere più gli intellettuali che i proletari; un altro sintomo è la nascita de Il Giorno di area cattolico-democratica erede dell’antifascismo partigiano “bianco”, diretto da Gaetano Baldacci, finanziato dall’ENI di Mattei (), certo non supino alla DC, tantomeno al Vaticano [✴]. Rappresenta, di fatto, una nuova “corrente politica” che non vede negli USA degli alleati, tantomeno nelle “sette sorelle” dell’oligopolio petrolifero, né può tollerare l’azione politica svolta dalla ESSO in Italia a favore della Liquigas, monopolista quasi della rete di distribuzione del gas, covo di reduci non pentiti del fascismo. Mattei vede tutti questi filo-americani come concorrenti, come “interessi dominanti” che marginalizzano il parvenu ENI, che è quindi costretto a cercare di guardare a Est, nella stessa URSS, ed al Sud mediorientale e africano decolonizzato per costruire il suo sviluppo economico [✴]. Paga con la vita questi atti d’indipendenza (1962) [✴].

Nella stessa DC si registra una svolta con il congresso di ottobre 1956, ove la componente “di sinistra”, la corrente minoritaria guidata da Fanfani, ottiene la segreteria per il frazionismo inconcludente delle altre tendenze [✴], in una guerra interna da “parenti-serpenti-coltelli”. Per di più quella svolta non è digerita dal Vaticano che, usando il suo “potere temporale”, mobilita tutta la sua stampa, i vescovi ed i sacerdoti per boicottarla [✴] e soprattutto vi si oppone la corrente interna alla DC, filo-vaticana, di Andreotti. Ma Fanfani, che ha un caratteraccio ed una testardaggine toscana, non demorde. C’è chi annota che «Una spiegazione semmai può essere intravista nell’ambizione [di Fanfani] che ha di divenire, di qui a un anno, capo di un governo integralmente cattolico, sostenuto da una maggioranza democristiana, purificata dai franchi tiratori della sinistra sociale-cristiana, e della destra nazional-cattolica …».

Fanfani, piuttosto, aspira ad essere riconosciuto all’altezza di una leadership simile se non superiore a quella degasperiana (). Per tutto il 1957 sta ritirato, tace, e aspetta l’evento favorevole che gli sembra arrivato quando Nenni si separa da Togliatti[✴]. Questa svolta è stata possibile dopo che nel febbraio del 1957 si registra la dichiarazione di Nenni, di esaurimento dei motivi che avevano portato all’alleanza PCI-PSI nel primo dopoguerra, e nel successivo congresso del PSI Nenni propone la riunificazione col PSDI [✴]. Il concorrente alla sinistra della DC, pensa Fanfani, si divide e perderà inevitabilmente peso politico nell’opinione pubblica. La sua DC potrà vincere le elezioni che si terranno nel successivo maggio. Ma proprio l’attenzione del presidente del consiglio in carica da quasi due anni, Segni, verso le esigenze del PSDI e persino del PRI, che pur non faceva parte di quel governo, finì per produssero le dimissioni del governo Segni () , con la fuoriuscita del PSDI da quella alleanza [✴]. Il pendolo politico della DC passò a Destra, col ministero Zoli (), perché i partiti minori di centro si rifiutarono di parteciparvi, probabilmente perché era nell’aria la sensazione dell’ineluttabilità di una apertura a Sinistra ().

Ma, come ho già accennato, le elezioni non daranno i risultati attesi, nonostante la “legge truffa” [✴] che avrebbe dovuto garantire la maggioranza assoluta alla DC, e Fanfani dovette acconciarsi nel luglio successivo, ad aprire la DC all’alleanza con il PSI che si riunifica col PSDI [✴]. L’unica soluzione possibile è assommare ai 373 seggi DC (43,3%) gli 84 seggi socialisti (14,2 %) per realizzare una maggioranza stabile. La soluzione da tempo preconizzata da Nenni e poi accettata da Fanfani. Ma per le circostanze attraverso le quali diventa necessaria questa soluzione, c’è amarezza da ambedue le parti: la necessità supera l’aspirazione alla scelta libera e democratica, soprattutto in buona parte della DC che l’accoglie solo “per necessità”, ma va pensando ad altri improbabili sviluppi [✴].

Questa era diventata la DC “ex-interclassista”: un partito disunito non più capace di individuare strategie praticabili nel lungo periodo, ma ridotta ai piccoli giochi di potere, all’ostruzionismo e ai ricatti. Ma c’era qualcuno più lucido nel valutare l’insufficiente vittoria DC: Arrigo Benedetti la cui analisi post-elezioni titola: «Perché vince la Democrazia Cristiana. No. Solo in parte il suo elettorato ha un rispettabile ideale. Il successo è assicurato dalla paura e dai confessori» (). Ma la svolta che sembra maggiormente implicare forti novità, che nasce da “bisogni” comuni per superare gli “interessi” (all’epoca) ancora nazionalisti, è quella del marzo 1957, che registra la stipula del Trattato di Roma che istituisce la CEE, la Comunità economica europea e l’Euratom, l’approccio non nazionalista allo sviluppo del nucleare per usi energetici pacifici [✴].

Conclusioni

Molti “scontenti”, portatori di “bisogni”, che esplosero col ’68 perché non trovarono soluzione prima, derivavano sia da Destra sia da Sinistra, da quel ritardo di aggiornamento di quelle strategie, dal meccanismo democratico di fatto bloccato, anzi, mai decollato. Opinione pubblica e i suoi rappresentanti politici operavano su piani diversi e sempre più divergenti:

  • al vertice assoluto il piano ufficioso “col tutore” che classificava ogni “nemico” e verificava ogni sua scelta, che rispondeva a chi, a sua volta, dagli USA, continuava a coltivare una politica da “guardiano del mondo”, (), che in tal modo avrebbe segnato la sua prima sconfitta storica, nel sud-est asiatico [✴]; ma anche il “tutore” direttamente da via Veneto, che poteva contare su una rete di basi militari sparse sul nostro territorio dal nord al sud, sia aeree che marittime, dotate di armamento nucleare;
  • dal piano ufficiale, sottomesso al primo, del governo nazionale “centrista”, che avviò da noi una stagione di corruttela, cercando di proteggere ogni “interesse” già costituito e insieme quelli delle nuove clientele (), nel corso della stagione del “miracolo economico” nel rapporto “opaco” fra imprenditori e finanziatori pubblici [✴];
  • quindi il terzo livello, il piano del controllo, quello occulto, perché illegale, del tutore interno (le Prefetture, i Carabinieri, la Scuola, la stessa Chiesa …) “poco innovativo”, diventato quasi prassi burocratica [✴];
  • infine il piano di chi pensava, fra i governanti litiganti impotenti, di poter ducescamente riconquistare il potere perduto: non è un caso che il primo episodio violento di quella stagione dati 1966, a Roma, l’assalto neofascista all’Università La Sapienza [✴].

Il bilancio che traggono i contemporanei sugli eventi e lo stato dell’arte della convivenza civile nel 1958 ha alcuni “chiari”:

  • lo sviluppo economico, da noi targato “miracolo”, anche perché inatteso, nato spontaneamente dal basso più che da scelte strutturali e di sistema (come, invece, parallelamente avveniva in Giappone ed in Germania), con iniziative non progettate e non coerentemente perseguite dai governi a guida DC [✴], la cui necessità di pianificazione e di scelte progettuali infrastrutturali verrà individuata solo dopo che quel “miracolo” ebbe mostrato i suoi limiti. Criticità che furono affrontate con la nascita, ad iniziare dal 1956, delle Partecipazioni Statali: IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale; ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi; EGAM, l’Ente gestione attività minerarie; EAGC, l’Ente Autonomo di Gestione per il Cinema; EAGAT, l’Ente autonomo per la gestione delle aziende termali; EFIM, l’Ente partecipazioni e finanziamento industrie manifatturiere; EAMO, l’ex mostra d’Oltremare a Napoli e tanti altri … Sviluppo drogato, che ebbe non pochi aspetti negativi, con una burocratizzazione produttrice di “posti di lavoro” più che di servizi, come la riorganizzazione successiva della pubblica amministrazione con la nascita del Sistema Regionale, e la mancata abolizione delle Province, tutto in contrapposizione e concorrenza con l’iniziativa privata () [✴];
  • un clima politico internazionale che, dopo la stagione della “guerra fredda” Occidente⮀Oriente, sembrava avviarsi ad una qualche “distensione” fra Est ed Ovest [✴];
  • il sogno di una minoranza “illuminata” di realizzare un’Europa unita, che sembrava iniziare a realizzarsi col varo della CEE, che portava con sé non solo la permeabilità dei confini nazionali, ma modificava profondamente lo stesso concetto di “nazione”, abolendo sul piano dottrinale o iniziando a contenere sul piano operativo la distorcente deriva nazionalista e sovranista [✴];
  • l’inizio della decolonizzazione in Africa ed in Asia, che venne anche percepita, dopo l’istituzione dell’ONU (1945) come inizio della “globalizzazione”, quantomeno politica e dei diritti civili [✴];
  • l’inizio negli USA dell’abbandono “ufficiale” del concetto divisivo di “razza”, con qualche strascico ancora, come le violenze di Little Rock del settembre 1957… [✴],

… e altri aspetti molti più “oscuri”:

  • il mancato avvio nel nostro Paese della stabilizzazione dei rapporti sociali, che governasse il naturale conflitto sociale in atto fra “bisogni” e “interessi“. Questi ultimi in conflitto interno fra interessi storicamente costituiti e quelli più recenti dei “parvenu”, arricchitisi grazie all’industrializzazione del dopo-guerra drogata dagli aiuti americani, non esente da metodi di “sfruttamento” e di “corruttela clientelistica” persino di criminalità organizzata come la Camorra, la Ndrangheta, la Mafia, la Sacra Corona Unita … perfino la Massoneria … Sembrava che si andasse verso un processo evolutivo di stabilizzazione e raffinamento “democratico” [✴]; ma non era ancora chiaro quale fosse il rovescio di quella medaglia …
  • una Chiesa guardiana di una “ortodossia temporalistica” che inizia ad essere messa in discussione anche al suo interno. Dissenso che si manifestò “dall’esterno” della Curia romana con l’elezione eterodossa al soglio di Pietro di Giovanni XXIII, più che sul “modo di essere chiesa”, una Curia restia dall’abbandonare la sua giustificazione d’esistere centrata nella gestione del “potere temporale”, sui traffici dello IOR, sull’extra-territorialità del Vaticano … [✴];
  • la mancata attuazione durante quel primo periodo di pressoché tutti i principi costituzionali [✴];
  • una avvertita sensazione, ma non documentabile all’epoca, di “sovranità limitata” del nostro paese non solo sul piano interno, ma anche della politica estera ed economica [✴];
  • una struttura sociale che andava naturalmente cambiando grazie allo sviluppo economico, con le sue vittime ed i suoi emergenti, costumi che cambiano (), sviluppo che creava timori, frustrazioni e insicurezza del domani in tutti i ceti sociali e una mai vista così massiccia emigrazione dal sud [✴];
  • una crescita esponenziale di quegli episodi, come la pubblicazione de La Zanzara (1945-1968) del Liceo Parini di Milano, espressione di un ceto convinto di poter far tutto quello che gli passava per la testa perché ricco, aristocratico, “superiore”, ma anche portatore di una “cultura che cerca lo scandalo” per distinguersi, che non scorge più i limiti del buon gusto, che ho battezzato “fuori norma” o “disordine”, rispetto ad una aspettativa di tolleranza civile consolidata nel tempo ed accettata () [✴];
  • un incremento del numero e della importanza degli episodi corruttivi legati alla politica dei partiti, nessuno escluso [✴];
  • potremmo così dire anche l’inizio del manifestarsi “dei sintomi del ’68”, innovazioni e bisogni, soprattutto di confrontarsi invece di scontrarsi, non accolti e soddisfatti, che portarono alla repressione delle proteste … con l’attenuante che giustificava l’inazione, che fosse un fenomeno globale non governabile, che coinvolgeva noi, ma anche il resto d’Europa, l’America e perfino l’Est …

Il tutto, con spunti raccolti dai giornali, dal primo sviluppo della televisione, è avvenuto senza che l’opinione pubblica e molti dei personaggi politici conoscessero i “limiti esterni” che condizionavano sempre più pesantemente la sovranità del nostro Paese:

  • fino a indurre il “controllore occulto” a preparare colpi di Stato man mano che cresceva il rischio di una “svolta a Sinistra”, peraltro tendenza da loro considerata molto pericolosa, perché sembrava fosse bene accolta dall’opinione pubblica [✴];
  • persino a realizzare lo sviluppo della organizzazione della struttura militare permanente, Gladio, segreta, cioè una specie di esercito clandestino, pronto ad intervenire in qualsiasi momento contro il “nemico interno”, struttura che non rispondeva e non prendeva ordini dagli organi costituzionali [✴].

Non ho potuto raccogliere informazioni certe su tutti i “rivoli” neo-fascisti che si erano fatti strumento di queste pratiche certamente non democratiche. Per questo occorre approfondire [✴]. Anche perché il sospetto è che questo variegato neo-fascismo ad un certo punto sia stato promotore, attore, regolatore o anche solo strumento di “poteri extra-costituzionali” alla base dell’esplosione della crisi del ‘68, nella logica del Gattopardo di Tommasi di Lampedusa: occorre cambiare tutto perché nulla cambi!

Ed in effetti, nel corso degli anni ’70, passata la “buriana studentesca e brigatista”, si tornò alla corrotta “democrazia bloccata” già vissuta nelle prime due legislature della Repubblica. Quel che ho potuto raccogliere del “nascosto” l’ho tratto soprattutto da “carte americane”, cioè i manovratori principali di queste pratiche eversive, ma anche quelli che per primi hanno aperto i loro archivi (tutti?).

La forte instabilità e l’assenza di una leadership chiara, come era stata quella dello scomparso De Gasperi, non aveva intaccato la ripresa economica avviata dopo la seconda guerra mondiale grazie agli aiuti del Piano Marshall, la creazione delle prime organizzazioni economiche europee, l’alta disponibilità di manodopera e l’ingente intervento pubblico nell’economia [✴].

All’inizio del 1958, prima delle elezioni, la testa pensante di Pietro Calamandrei, scriveva sull’Avanti!, richiamando i quattro “principi” basilari enunciati dalla Costituzione (diritti politici, diritti civili, sistema ordinativo dello Stato, principio di democraticità): «… in realtà, fino ad oggi, nessuno di questi compiti è stato assolto: nessuno degli organi costituzionali rimasti incompiuti nella parte organizzativa è entrato in vigore; nessuna revisione delle vecchie leggi è stata neppure iniziata; nessuna legge è stata approvata per tradurre in realtà il programma della parte ordinativa …».

Possiamo partire da questa autorevole affermazione: nella società del 1958 poco o nulla era cambiato “nel sentire sociale”, se non aspetti formali e marginali, rispetto al precedente periodo dominato dalla cultura monarchico-clerico-fascista [✴]: la monarchia era stata sostituita dalla Chiesa di Pio XII che usava la DC come strumento operativo sostitutivo del fascismo (l’esperienza del governo Tambroni n’è l’esempio più sfacciato) [✴]. Pure l’opinione pubblica, almeno una minoranza di quella giovanile, deve aver avvertito che era necessario cambiare. I sintomi erano presenti soprattutto nel mondo del cinema e del teatro ().

Sul piano più ampio della sociabilità (bisogni/interessi) dell’opinione pubblica, questa necessità, direi l’ineluttabilità di questa svolta, se deriva dai numeri, e solo in parte da decisioni politiche, è comunque valutabile come matura, verificabile sul piano del costume sociale, proprio dalla cronologia [✴], che mostra da qualche tempo l’inizio del cambiamento, che si manifesta nella letteratura, nella scienza, nel cinema e nel teatro, nella musica e nella voglia giovanile di innovazione. Bisogna partire da quegli anni per cercare di capire cosa avvenne dopo, che portò al “disagio” per la auspicata/sperata/mancata innovazione attesa, che poi fece esplodere “il ‘68”.

Ancora: occorrerebbe ulteriormente scorrere la sterminata bibliografia dei testi di storia che trattano degli eventi di quegli anni per poterne valutare completezza e attendibilità dei giudizi, ma a patto di saper distinguere, con approccio critico, “il detto”, “il trascurato” ed il “non detto” volutamente, ma anche “il detto per propaganda” e il “detto per una strategia di disinformazione” anche negli anni successivi, perché quell’instabilità politica e scarsa chiarezza nelle prospettive e nel progettare riforme e sviluppo proseguirono ad essere applicate per molti anni ancora: per esempio un diffusore pervicace e falsificante per lucida scelta strategica risultò l’organizzazione cattolica di Comunione e Liberazione, presente soprattutto in Lombardia, che organizzò la conquista del potere con metodi massonici [✴].

Sciogliere i nodi del “non detto” o del “detto parziale” o del “detto per propaganda” potrebbe giovare al ripristino di una qualche onestà intellettuale ancora oggi, ne deriverebbe un arricchimento del sapere storico e della sua autorevolezza. Le fonti storiche sono tutte state pubblicate dopo il 1980 e non sono affatto esenti da visioni “partigiane”. Anche loro si sono sviluppate nei limiti della disponibilità documentale con pre-giudizi e, il più delle volte, con specifici obiettivi politici “del momento”, del tutto velleitari. La conoscenza storica è altra cosa.

Le Storie, quelle con la S maiuscola, perché “lasciano il segno” rimanendo valide nel tempo, sono pochissime. Ma chi leggerà e utilizzerà la cronologia che ho raccolto, che rilascerò “per argomento”, per sviluppare un proprio racconto di storia, o anche solo per desiderio di capire, di giudicare con la propria testa, ci dovrà mettere la sua “intelligenza” e, soprattutto, la sua “curiosità” per scoprire il “senso” di ciascuna delle tantissime storie riconducibili a questo periodo.

Per tutti i temi estratti dagli eventi è necessario individuare ed approfondire: cause [✴] ed effetti nei risvolti sociali [✴].

R.M. – release 1 – 22 marzo 2020 (marseriate@gmail.com).

 

 

Inserisci un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Required fields are marked *

*


Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi