A 50 anni di distanza.

Quella che a noi sembrava l’alba di un giorno radioso, erano in realtà le luci di un tramonto…

Intervista al Prof. Antonio Luccarini di Enrico Pilli e Federico Agostinelli (5C Scientifico).

Cosa può dirci sul ‘68 e cosa ne pensa oggi, a cinquant’anni di distanza?

Gradirei iniziare con un episodio personalissimo: nel 1998, quando ero assessore alla Cultura del Comune di Ancona, ho organizzato una mostra sul ‘68, una sorta di “album dei ricordi”, che non si limitava ai soli avvenimenti, ma spaziava dalla moda alle letture, sino alla musica del tempo. Con questa mostra ho voluto proporre anche un’idea del background dei giovani di allora, dei loro gusti letterari (“L’uomo ad una dimensione” di Marcuse e “La Critica della ragion pratica” di Kant su tutti) e musicali (Beatles, Rolling Stones,ecc.).

Spesso si tende, infatti, a considerare quel ‘68 come un luogo fisso nello spazio da cui ci siamo allontanati, senza tener conto del fatto che quei giovani, che lo animarono, erano ragazzi come voi oggi, che rivendicavano il diritto a inventare il proprio futuro e ci credevano fortemente.

Dovetti rendermi conto ben presto che quella sensazione di euforia collettiva era purtroppo solo un’illusione: quella che a noi sembrava l’alba di un giorno radioso, erano in realtà le luci di un tramonto. Stava finendo un’epoca.

C’è da dire anche che, in realtà, il ‘68 può essere considerato il tramonto di un percorso preparato dentro le coscienze tempo prima: l’Italia da paese contadino si era trasformato in paese industriale e poteva vantare il proprio primato artistico ed anche cinematografico, che andava a spingere anche l’economia.

In precedenza, anche la Resistenza aveva messo in discussione molte strutture del sistema ed aveva unito classi apparentemente distanti come studenti e operai, con quest’ultimi che cominciavano ad informarsi e desideravano che anche i propri figli avessero la possibilità di studiare.

Ad essere sinceri mi sento un po’ come un sopravvissuto.

Come ha vissuto l’inizio di queste contestazioni?

Durante quel periodo mi trovavo a Bologna per i miei studi di filosofia e ricordo ancora che stavo assistendo ad una lezione del Rettore, quando, improvvisamente, entrarono delle ragazze gridando che la facoltà era stata occupata. Da quel momento, e per molti mesi a venire, avremmo vissuto e dormito in facoltà.

A differenza di quanto si potrebbe credere, non ci furono a Bologna grossi scontri con la polizia, anche perché la città non era ostile al movimento, anzi lo sosteneva.

Durante questo periodo molti tabù, come quello della sessualità, vennero sfatati, molti giovani cominciarono a portare i capelli lunghi; in sostanza, avvenne una liberalizzazione dei costumi, unita spesso, ahimè, ad una criminalizzazione delle condotte.

Tuttavia il ‘68 non è da considerare negativamente, come spesso si è portati a fare, perché durante questo periodo si erano attivate forze politiche che mettevano in discussione le ideologie e i valori su cui si fondava il viziato sistema del tempo.

Inoltre c’era molto più coscienza politica nei ragazzi, ci si informava e si leggeva molto di più.

Il mio rammarico è che sia durato tutto troppo poco.

Per quale motivo pensa che si sia diffusa questa ondata di contestazione e quali sono state le conseguenze?

Era già nell’aria un’indefinita aspirazione a cambiare le cose, la quale veniva eccezionalmente tradotta in musica, da sempre, la migliore forma di comunicazione di idee nuove e rivoluzionarie che il sistema reprime.

Nonostante fossero pochi a volere un’autentica rivoluzione, in quegli anni, tutti si sentivano coinvolti emotivamente, come d’altronde si è sempre fatto in Italia, dai tempi di Mazzini, passando per il Risorgimento e la Resistenza. Si stava vivendo un sogno collettivo.

Purtroppo molti giovani, che io stesso ho conosciuto, riversarono la propria voglia di rivalsa in movimenti, come le Brigate Rosse, che utilizzavano i loro stessi furori per ottenere l’effetto opposto.

Come spesso accade, in seguito alle fase di protesta, si ristabilirono tutti i partiti tradizionali, ormai svuotati di senso, cosa che mi fa spesso credere che il ‘68 sia stato un fallimento.

Essendo stato testimone diretto di quegli eventi, che hanno segnato la storia recente, cosa ne pensa della situazione attuale e qual è il suo auspicio per i giovani di oggi?

Onestamente il futuro di mio figlio e di tutti voi giovani mi preoccupa, perchè penso che non abbiate ereditato nulla da quel ‘68.

Nella mia lunga carriera di insegnante sono stato, e sto tuttora, molto a contatto con i giovani e devo dire che nei loro occhi, nei vostri occhi, non vedo più il futuro, non vedo più quell’impeto dirompente che aveva animato la mia generazione.

Sapientemente vi hanno tolto il futuro, cosicché voi possiate accettare il triste presente e soprattutto diventare “carne da macello” di questo sistema.

Noto nella vostra generazione la “sindrome della bestia sazia”: vi trovate in un sistema che fa in modo che non possiate desiderare nient’altro che quel sistema stesso, che sazia tutti i vostri desideri più effimeri.

C’è forse bisogno di un altro ‘68? Non saprei… la rivoluzione la fa chi se la sente, ma sono convinto che quel sogno di libertà, autonomia e rivendicazione di diritti di cui, progressivamente, siete stati privati, un giorno si ripeterà.

Questo è il mio sogno più grande, che tutti voi possiate avere la possibilità di inventare il vostro futuro.

L’intervistato:

Antonio Luccarini storico insegnante di generazioni di anconetani, nasce in Ancona il 15 gennaio del 1948. Studia al Liceo Classico Rinaldini e, nel 1967, si trasferisce a Bologna per frequentare la facoltà di filosofia.

Dopo la laurea, insegna per molti anni nello stesso liceo in cui si è diplomato; ricopre l’incarico di Assessore alla Cultura del Comune di Ancona nella giunta Galeazzi, prima, e in quella di Sturani poi.

Lettore assiduo e appassionato di cinema, è attualmente docente volontario all’Uni3, dove insegna cinema, teatro, filosofia e storia dell’arte.

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